Etichettato: india

ITALIA SOLO ANDATA

Tre donne in mezzo al guado

 

Ogni volta che queste donne iniziano a parlare battono sempre quella che è la mia immaginazione, tutto è più crudo e drammatico, più grave. Shama dice che in India non c’è assistenza gratuita, che senza soldi ti lasciano morire in strada, e ogni volta che incontrano la polizia hanno paura, gli si offre una mazzetta.

 

Cosa penserebbero Rousseau e il suo diritto alla ribellione?

 

Mi viene voglia di rivalutare questa Italia per tanti aspetti ingiusta, da cui tante persone in gamba fuggono senza voltarsi indietro. A dispetto del compenso di poche rupie al mese, nel Paese di Shama, come nella europea Romania, gli alimenti costano alla stregua dell’Italia, stesso discorso per l’energia elettrica, il gas.

 

Questa ragazza forte e determinata pronuncia una frase che mi onora: “in Italia la vita delle persone è importante, in India non ha lo stesso valore”. Le colleghe rumene annuiscono, confermano le parole di Shama.

 

Quello che ho davanti è lo scenario futuro di un’Italia in cui le forze reazionarie e conservatrici riuscissero a smantellare il sistema sociale nazionale. I liberisti a oltranza sono sempre trasversalmente in agguato nei partiti politici, godono dell’appoggio dei mezzi di informazione, e hanno grossa risonanza mediatica.

 

Con la crisi imperante i governanti hanno dato prova prima di immobilismo e approssimazione, quindi di saper colpire col machete la scuola e il sistema sanitario, i pensionati, senza incidere realmente sull’imperante ingiustizia sociale del Paese.

 

Prima di proporre assicurazioni private che scarichino i costi esorbitanti dei servizi sugli individui però, devono indebolire questo sistema sociale, renderlo malfunzionante, screditarlo agli occhi della pubblica opinione, quindi ogni servizio affidato al sistema privato sarà troppo costoso, le disparità aumenteranno, e anche in Italia la vita varrà poco, diventeremo ancora più cattivi.

 

Ormai è di dominio pubblico che la soluzione al problema è la cultura, l’investimento sulla cultura dei futuri italiani. Questo ho imparato da un padre della patria come Piero Calamandrei e tuttavia le donne che ho davanti, nell’immediato, hanno altro a cui pensare.

 

GABRIELA
In un ospedale pubblico di Timisoara tempo fa alla sua nipotina di dodici anni fu diagnosticato un tumore alla testa. Il medico fu esplicito nel chiarire che senza “mancia” l’operazione non sarebbe avvenuta nemmeno in tempi lunghi. Quella volta mille euro furono abbastanza, ad ogni modo lei ci tiene a dire che in Romania gli anziani che qui vengono accuditi con attenzione fino alla fine, non verrebbero neanche soccorsi, “l’ambulanza non si muove per un novantenne”, e per qualsiasi tipo di assistenza domiciliare ci vuole “la mancia”, una parola gentile per nascondere i soprusi di una pubblica amministrazione marcia dalle viscere.
In più il servizio ospedaliero pubblico rumeno stila la lista di tutto ciò che serve per l’operazione e per le cure: i medicinali, le garze, ogni spesa ricade sull’assistito, tranne la prestazione medica, per cui è necessario il pagamento in nero.
Insomma emerge il quadro di un Paese di carne cruda e pochi sentimenti, dove la fortuna gioca il ruolo del regista e i protagonisti spesso retrocedono a comparse, nel sequel addirittura si sparisce. Questo è accaduto a Gabriela.

 

TENORA
A cinquantaquattro anni, un buon livello di istruzione come la maggior parte di quelli che vengono dall’Est europeo, ha vissuto il regime di Ciausescu all’età di trenta anni e sa bene di cosa parla: la storia di Tenora non è più rincuorante.

 

Nel sud della Romania aveva una “casa famiglia” per orfani e non le mancava nulla, un buono stipendio, fino a quando i tagli statali non l’hanno lasciata senza bambini e lavoro, orfana dei suoi orfani. Quindi fino a cinque anni fa possedeva una casa di proprietà, aveva un marito, due figli di cui andar fiera.
Sostiene che i politici sono tutti ugualmente corrotti e pensano solo al loro interesse. Con Ciausescu, continua, i rumeni avevano i soldi senza avere nulla da acquistare nei supermercati, ora che c’è la democrazia e dopo tre mandati del presidente Iliescu, i supermercati sono pieni di merci e nessuno ha i soldi per poterle acquistare.

 

Non riesco a darle torto, l’Italia è da anni ostaggio di una classe politica autoreferenziale che si perpetua manifestamente a danno della nazione. Le ultime elezioni hanno partorito un governo che ha agito ignorando la volontà popolare e l’espressione del voto, ma questa oggi non è la nostra storia e spero davvero non lo diventi mai.

 

Torno a Tenora, la quale ritiene che per il suo popolo la democrazia sia stata come una classe senza professore: “abbiamo distrutto tutto e ora non abbiamo più niente”. Finita la dittatura nessuno ha pensato a salvaguardare la parte funzionante dello Stato.
Quando era giovane nella sua regione agricola vantavano una buona produzione cerealicola, adesso non restano intatti nemmeno i canali di irrigazione, non c’è più l’acqua se non quando piove.

 

Interviene Maia per ribadire che dopo Gorbaciov e la sua perestrojka in Russia è accaduta la stessa cosa. Le privatizzazioni hanno messo nelle mani della mafia il patrimonio pubblico e le ingenti risorse del Paese. In effetti quando si parla delle privatizzazioni solo gli studiosi della criminalità organizzata sottolineano la straripante capacità economica del capitalismo mafioso rispetto all’imprenditoria sana.
Alle banche, agli imprenditori, alla finanza non credo sia mai interessata la provenienza dei capitali che affluivano generosamente nelle loro casse nei decenni passati, ma anche questa è un’altra storia e la stanno pagando le persone davanti a me prima di noi.

 

Tenora ogni giorno saluta la figlia e il nipotino via skype, il bimbo le chiede di tornare e a lei si velano gli occhi, ma il monitor lo nasconde. La figlia vive con i suoceri e il marito, il quale lavora come informatico presso il comune del suo paese per l’equivalente di centocinquanta euro al mese.
Una ragazza laureata in economia che però fa la casalinga per occuparsi del bimbo, questo perché non ci sono asili, e perché anche se ci fossero loro non potrebbero permetterselo. L’altro figlio di Tenora da due anni lavora come muratore in Francia, ha 27 anni. Infine, il marito l’ha mollata a dicembre, a quattro anni dal suo trasferimento in Italia.

 

Ha le idee molto chiare questa donna: “in Romania ci sono rimasti solo gli uomini, le donne sono tutte emigrate”. Spiace dover constatare che in mezzo a queste donne Tenora è abbastanza fortunata, a Villafranca di Verona vive nella dependance di una famiglia per accudire la loro anziana, ha una paga dignitosa di mille euro al mese, che basta per aiutare i due figli e sostenere lei mettendo da parte qualcosina.

 

Il sogno ora è raggiungere una pensioncina italiana per poter tornare a casa, però lavora qui da soli quattro anni, non ha più un uomo ad aspettarla, intanto la vita scorre e non sarà così facile raggiungere il suo scopo, il prezzo di tutto questo lo sta pagando giorno per giorno sulla sua pelle, con i suoi quotidiani e solitari sacrifici. Tieni duro Tenora, meriti ciò che desideri.

 

Sandro Supplentuccio Abruzzese

 

https://www.facebook.com/Raccontiviandanti

 

CINQUE STORIE DI DONNE DA QUATTRO CONTINENTI

Tra le altre cose che mia moglie mi ha costretto a fare nella vita, c’è anche questo corso di alfabetizzazione per stranieri, organizzato dall’azienda sanitaria locale per incrementare le abilità linguistiche delle assistenti domiciliari, volgarmente dette badanti.
Quindi insegno italiano ad un gruppo di stranieri di ogni dove, che avrebbero bisogno di un corso accelerato di dialetto del meridione veronese. Tutto questo per entrare poi nelle nostre dimore, assistere i nostri genitori mentre noi siamo occupati a lavorare per pagare le rate di una smart tv o di un’auto presa a rate, probabilmente entrambe costruite all’estero con la manodopera a basso costo dei mariti che le mie corsiste hanno dovuto abbandonare per via che non riuscivano a campare. Tant’è.

KARINA E LAILA
Inizia la colombiana. In verità non vuole parlare, anzi si inventa una storia suggestiva di lei che viene arrestata all’aeroporto di Venezia in quanto portatrice sana di due chili e mezzo di polvere bianca. Le faccio notare che un film di Johnny Depp aveva una trama molto simile alla sua storia e lei con disinvoltura allude a qualcosa di sconcio che avrebbe fatto se avesse avuto tra le mani Depp. Poi quando siamo soli Karina aggiunge più seriamente che ha una figlia in Svizzera partorita a quindici anni, che a quarantasei anni è già nonna di una splendida bambina e preferisce l’Italia alla Colombia, dal volto intendo che non sarebbe facile e opportuno ricordare altro. Le mancano la figlia, la nipote, il cielo di Bogotà.

Con la giovane e allegra Laila l’umore cambia, l’Italia è una sua libera scelta senza necessità. Lei ha seguito i fratelli a Mantova che hanno una società di servizio bodyguard, poi siccome conosce il francese ha lavorato ad Aosta come cameriera, quindi si è stabilita a Villafranca. E’ orgogliosa di vivere e sostenersi da sola. Ci tiene a ribadire che aveva una vita libera in Marocco e fa altrettanto qui a Verona. Dal suo sorriso, dall’inflessione della voce si capisce che è sincera. Le mancano il mare di Casablanca, i colori e gli odori della sua terra, parte della sua famiglia.

SHAMA
L’atmosfera si fa intima con l’indiana Shama, la quale ci informa che le donne indiane del Punjab non portano il cognome né del padre e né del marito. E solo se ritengono ne scelgono uno, spesso in onore della propria madre o della propria religione. Per esempio le donne Sikh spesso si chiamano kaur , “leonesse”, la loro religione è priva di caste e molti dettami sono simili al cristianesimo: le donne sikh hanno pari dignità rispetto agli uomini, lei lo dice con orgoglio e se le cose stanno così ne ha tutte le ragioni. Sembra davvero una nobile religione quella di cui mi parlano queste coraggiose donne indiane con i loro profondi occhi neri che luccicano.
Comunque sia Shama è di religione indù, da poco tempo è stata costretta ad assumere un cognome per vivere in Italia senza inconvenienti, visto che un po’ pirandellianamente senza un cognome era come se non esistesse: i software dell’anagrafe o della banca non riuscivano ad andare avanti senza quella vocina con l’asterisco obbligatorio. E Shama è finita per incarnare la versione internazionale e femminile del povero Mattia Pascal! Suo malgrado, visto il lungo iter burocratico, è riuscita ad ottenere un cognome ed ha scelto quello della madre per onorarne la memoria. Quest’ultima è morta quando lei aveva solo otto anni, lei e i suoi fratelli sono stati tirati su dal padre che ha sempre fornito loro tutto quello di cui avevano bisogno. La sua voce flette solo quando ricorda che il padre è morto a tre mesi dal suo arrivo in Italia. Non gli ha potuto parlare mai più e oggi le sue figlie le riempiono le giornate. Le mancano il papà, la mamma, le feste indiane come matrimoni e compleanni, il resto lo ottiene dalla parabola satellitare.

MAIA
Dal sud della Russia, una città della regione del Mar Caspio di nome Rostov sul Don, arriva Maia. Quando è venuta in Italia da clandestina ha rinunciato alla figlia di otto anni che è rimasta con delle zie. Per sette anni ha condotto una vita d’inferno per via della clandestinità, faceva la badante e dovunque andasse si faceva apprezzare anche se nessuno provvedeva a chiedere il permesso di soggiorno e lei non poteva vivere appieno la sua esistenza, non poteva nemmeno far venire la figlia in Italia. Solo a Villafranca di Verona le hanno restituito l’identità e la vita regolarizzandola, cosicché ha potuto ospitare i suoi parenti, stipulare contratti, emergere dall’anonimato, e infine sposarsi. Quindi Maia ha subito l’Italia nei primi sette anni della sua vita perché lei era clandestina, e quando ha risolto questo problema era ormai troppo tardi per il resto.
La sua bella figlia ora ventitreenne, di cui mi mostra una foto che porta sul desktop del cellulare, era ormai diventata adolescente e giustamente non ha voluto rinunciare ai suoi sedici anni di vita a Rostov. Poi aggiunge che oggi nonostante la sua casa sia l’Italia pensa spesso che avrebbe dovuto tenere duro e andare avanti in quella cittadina sul mar Caspio, di sicuro avrebbe avuto una vita più piena d’affetto e meno ricca di cose, di possibilità economiche. Ancora una volta sono davanti a qualcuno che è rimasto nel mezzo del guado. Le manca aver rinunciato ad essere mamma, l’aver perso quel legame con la figlia che non si è più ricostituito.
I racconti sono ovunque, e io sono solo una delle tante vittime sul lavoro di questa terra di storie che è la scuola: continuo ad assorbire umanità e quando non ne posso più la espello raccontando, per tornare ad essere leggero, ad asciugarmi le ossa con le immagini migliori, dimenticando per qualche attimo l’oceano che ci circonda, questo dolore preponderante dell’esistenza a volte nostra, a volte altrui.

LILY
Per nostra fortuna arriva il racconto di Lily a stemperare l’intensa atmosfera venutasi a creare. La sua pazza storia trasuda emozioni del tutto diverse da ognuno. Lei a trentotto anni dirigeva non so quale ufficio pubblico della città di Bucarest, il giovedì andava al teatro nazionale, di giorno si relazionava con una ottantina di persone e non aveva alcuna necessità economica che la spingesse ad emigrare. Molto più praticamente Lili ha risposto ad un appuntamento al buio organizzatole dalla sua amica perché aveva una voglia matta di sposarsi e diventare mamma. In Lily traspare allegria e sicurezza, soprattutto sembra una persona che ha ben chiare le sue priorità, che prende la vita per ciò che è. Dopo quattro giorni dall’incontro con l’uomo che sarebbe diventato suo marito è venuta in Italia, le cose per fortuna sono andate bene. Ha avuto una bambina di cui parla spessissimo che ora ha undici anni, sembra davvero soddisfatta. Le mancano le serate al teatro e la carriera del lavoro, su tutto la vita cittadina di Bucarest rispetto alla sua casa circondata dai campi di Sommacampagna, almeno per ora non altro.

Sandro Abruzzese