Lettere settentrionali 4

L'Italia nel suo mediterraneo

L’Italia nel suo mediterraneo

Il cugino di mia madre aveva una cartoleria, quindi è passato alla distribuzione in grande,
gli serviva una mano e io ne avevo due. Avevo vent’anni.
Adesso sto a Crema. Esattamente da dopo Natale. Dal momento in cui ho capito che, nonostante le promesse, i contributi non me li avrebbe mai versati. Lui mi diceva: “mo’ vediamo, dopo natale”, alla terza epifania mi è sembrato troppo…e me ne so andato. Sto all’esselunga, ancora per poco alla cassa.

La mia Terra ad agosto spende svariati milioni di soldi pubblici per offrire concerti gratuiti ai suoi cittadini.
La gente è felice, gli sembra una volta tanto di stare al centro, viene la televisione e si sentono importanti. Poi a settembre i figli maggiorenni, quelli laureati, partono per l’Europa.
Il risultato è che pochi sanno dove si trova la mia Terra.
Però, la conoscono bene i manager dei cantanti.

Sono partito, non mi ricordo l’anno. E’ stato poco dopo che il nipote di un noto politico locale approdò al festival di Sanremo. Dopodiché, il cantante fece una tournee, un disco, e sparì.
Lo zio, il politico, divenne ministro dell’università, fece un’alleanza sbagliata e scomparve. Tra i due ero sparito pure io, ingegnere aerospaziale a Tolosa.

Ho studiato al liceo scientifico di Caserta. Mi sono laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli.
Scrivo da sempre e sono diventato giornalista. Me ne sono andato quando mi hanno condannato a morte.
Da un palco avevo fatto i nomi dei camorristi di Casal di Principe, avevo detto che quella non era la loro Terra, che se ne dovevano andare. Alla fine, però, me ne sono andato io.
Da allora sono diventato per tutti Roberto Saviano.

Il comune ha deciso di asfaltare la strada che porta alla mia casa, in campagna. D’altronde li votavo. Mi è costato in tutto un bel primo piatto, quattro conigli, caciocavallo, soppressata e vino a volontà. La sera della cena, con mezza amministrazione, ricordo i visi rossi, le facce ingrassate, le risate. Ogni tanto mi sogno ancora i conigli, messi lì in tante piccole bare circolari, nudi in mezzo ai peperoni. Poi i baffi sporchi dell’assessore, i bambini spensierati, l’italiano incerto del sindaco.

Da quando sono andato via il calcio non lo seguo più. Insegno italiano e storia al Nord.
E’ che a fine campionato noi eravamo salvi e loro lottavano per la promozione in interregionale.
Il primo tempo finì zero a zero.
Nell’intervallo scese il presidente e disse che dovevamo perdere.
Entrammo in campo io e altri due dell’under diciotto. Ma niente.
Avrei tirato nella porta avversaria con tutta la forza.
Non toccai una palla. Poco dopo la difesa quasi ferma li fece segnare.
Il pubblico festeggiò, incurante dell’evidenza. L’ispettore a bordo campo fece finta di niente.
A me scendevano le lacrime che cercavo di nascondere.
Segnarono altri due goal e il nostro allenatore li aspettò all’uscita del campo per sputargli in faccia che erano giocatori da poco, e uomini da niente.

SANDRO ABRUZZESE

sandroabruzzese78@gmail.com

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