Domenico Carrara: dalla parte del dolore

Metto qui per chi è lontano il testo dell’articolo comparso ieri sul Quotidiano del Sud-Avellino per le poesie di Domenico.

Domenico Carrara: dalla parte del dolore

Nel ripetersi delle cose (Homo scrivens, 2021), è la raccolta postuma del poeta di Grottaminarda.Domenico Carrara, Atripalda 1987-Bienno 2021, ci ha lasciati da soli nove mesi, ed è difficile trovare le parole per questi suoi ultimi, preziosi scritti editi dalla sua storica casa editrice, Homo Scrivens di Napoli. Aveva accettato, dopo la laurea in Lettere alla Federico II, una supplenza come bidello a Bienno, in Val Camonica, e lì, precipitando da un dirupo, ha perso la vita. Ci era andato, a Bienno, con quel suo piglio di apertura e curiosità che lo contraddistingueva. Sul posto non avevano faticato a capirlo. Era impossibile, di fronte alla sua personalità complessa, non accorgersi di quel delicato stare al mondo o della sua disponibilità. Domenico era un costruttore di ponti, anzi forse, più di tutto, amava mettere in relazione persone e costruire insieme agli altri. A Bienno, l’hanno ricordato con una cerimonia apposita nella sua scuola, infine il sindaco lombardo ha voluto recarsi personalmente a Grottaminarda per manifestare la vicinanza della sua comunità alla famiglia. Nella sua giovane vita Domenico Carrara ha scritto diversi libri, ha iniziato prestissimo e in ognuno di essi, fin da subito, emergevano un talento acerbo, un potenziale espressivo e intuitivo di valore, che passo dopo passo diventava sempre più solido e manifesto. Questa raccolta poetica postuma, Nel ripetersi delle cose (Homo scrivens, 2021), oltre a indicare il grado di maturità, di misura e consapevolezza raggiunta, ha il merito di condensare molto di ciò che lui ha sempre avuto a cuore. Mi riferisco al controverso rapporto con la nostra provincia, fatto di un amore profondissimo e di una sempre più cosciente presa d’atto delle sue colpe nei confronti delle nuove generazioni: Non sai che porti la provincia dentro: / avverti le tracce che tieni strette / ovunque, nei gesti di tutti i giorni, / in questo sentirsi da sempre poco?Non poteva sfuggire a un attento scrutatore come lui, oltre al tradimento intergenerazionale nei confronti dei giovani meridionali, il caos edilizio successivo al terremoto. Vi era cresciuto in quel teatro di approssimazione, in quel fare che ricostruiva dimenticando, che dissipava la memoria dei luoghi rendendoci, man mano che venivamo su, orfani della nostra storia: Il nostro essere nelle lamiere, / tra i residui, gli scoli, l’amianto, / le case mai finite, i copertoni, / e poi cieli che sembrano vergini, / pieni di luci dei tempi lontani, / gli sguardi terragni dei cani, /le volpi intraviste di notte. Certo, i problemi dell’Irpinia e dell’Italia lo hanno anche costantemente nutrito: Figli di un tremore, / nati sopravvissuti, / nel paesaggio le case / diroccate, spaccate; / eredi del proseguire / di sbalzi, soprassalti, / lo spazio per sbranarci / con le parole o amarci. Come tutti gli scrittori della sua generazione, Domenico ha vissuto la scissione dei tanti meridioni d’Italia, lo smembramento delle comunità dovuto alla continua emigrazione giovanile: Terra, poter dire terra, / che poi è lei a pronunciarci / e siamo solo frasi da poco, / quello che ha per scaldarsi. O ancora La mia terra è diversa nel tuo sguardo, / riesco a perdonarla di più. / A vedere oltre ciò che non può dare, riscoprirla come fossi al primo passo. (…) Io sono diverso nel tuo sguardo, riesco a perdonarmi di più.Le parole terra, provincia, paese, che denotano un lessico antimoderno, non devono trarre in inganno. Domenico Carrara non era avvezzo a facili assoluzioni, non c’è nella sua scrittura un’indistinta nostalgia interclassista ad offuscare le responsabilità, lo sperpero dei fondi pubblici, l’uso clientelare del potere dei nostri ceti medi e delle classi dirigenti locali. Con lui, se di provinciale si tratta, è nell’accezione più nobile di chi sa che il provincialismo è un rapporto di subalternità intellettuale, morale e materiale verso il potere, che nasce nel cuore delle città, ed è un discorso importato dalla quieta accettazione dei valori del mondo urbano. Non è questo il caso. Domenico ha sempre preferito l’inazione “attiva” rispetto alla distruzione, la diserzione rispetto alla violenza, oppure i vicoli, i bar, le piazze, rispetto ai “traguardi calati dall’alto”. Semmai nei suoi versi vi è un umanesimo cosmopolita che lo avvicina agli approdi di un altro poeta irpino scomparso in circostanze tragiche: l’andrettese Pasquale Stiso. Di Pasquale Stiso amava più di tutte quella poesia che recita “Io sono restato ragazzo / anche se fili bianchi / compaiono alle tempie / e l’ombra della morte / s’insinua sottile / nel cuore.” Penso che pochi, come Domenico, potessero incarnare e sentire propri questi versi del “poeta ritrovato” Stiso, com lo ha definito Paolo Speranza in un bel libro a lui dedicato. Forse, Domenico, anche egli uomo di sinistra, vicino alle sorti del mondo operaio e subalterno, dei clochard e dei migranti, riesce a intercettare la sensibilità di Stiso verso i contadini e braccianti di Andretta, e portarla, in altre forme, nelle urgenze del nostro secolo. Tra i due poeti intercorre una distanza di sessant’anni, eppure entrambi restano intellettuali della provincia, in grado di portare il locale in una dimensione universale. Entrambi non si fanno assorbire dalla città, ma restano piantati nei problemi della provincia.In fondo, per capire chi è stato e chi sarebbe potuto diventare Domenico Carrara basta anche solo una poesia:“Casa è dove ridono i tuoi occhi,un posto a cui tornare tutti i giorni;non è semplice luogo il tuo profumoche ora mi abita dentro e in cui riposo.Può spostarsi ovunque, bosco e borgo,strada di periferia, città oppure paese.Può essere spazio accennato o distesa,nel deserto o in tutte le voci del mondo.Può sembrare svanisca e trova l’altrove,rinasce nell’attimo in cui pareva persacome la vita che, se spezzata, rifiorisce;adesso casa è dove ridono i tuoi occhi.”Casa è ovunque, e ogni paese, ogni luogo, è un mondo osservato e compreso dalla parte del dolore.Domenico Carrara è stato dunque sempre dentro i problemi e la realtà concreta dei luoghi in cui viveva. Non aveva mode letterarie o riviste da inseguire, anzi aveva lucidamente scelto tra i poeti favoriti il greco di Baronissi Sotirios Pastakas di cui scrisse: “mai come con Sotirios le parole somigliano all’autore”. Anche Domenico somigliava sempre più alle sue parole e sapeva che il suo ruolo era di retroguardia e di difesa di una provincia fragile, priva di anticorpi contro gli annosi problemi sociali e politici, a cui una volta per tutte ha risposto:Mentre da sopra i palchi / parlano d’uguaglianza / c’è chi a montarli muore, / non uguale abbastanza.Nel ripetersi delle cose è l’ultima traccia di un percorso in fieri. Al di là della misura e del talento in evoluzione, il libro ci dice pure che nessuno prenderà il suo posto. Il suo stesso paese, o la Valle dell’Ufita, ora sono tornati muti. Tutto è di nuovo avvolto dal silenzio. Un silenzio noto e ancestrale, che magari fa comodo a qualcuno. Nel ripetersi delle cose va letto perché ha la forza di rompere questo silenzio.

s.a.