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DALLA PARTE DEL GHEPARDO E ALTRI SPOSTAMENTI

 DALLA PARTE DEL GHEPARDO

Gli adolescenti di oggi vanno compresi: nella loro scala dei valori vengono prima rispettivamente gli amici di Maria, le ultime app consigliate dal proprio store di riferimento, i film sdolcinati tratti dai romanzi di Nicholas Sparks, i compagni, la famiglia, i collaboratori scolastici, e solo in ultimo le attività scolastiche, ma sono sempre di gran lunga migliori degli adulti.

A due giorni di distanza dalle mie consegne abbiamo letto e condiviso tutti gli scritti. E subito sono fioccate le sorprese. Il primo dato interessante è stata la scoperta di un certo tasso di mobilità, è emerso prepotente il dinamismo di queste famiglie nord italiane e non, che per motivi di lavoro sono costrette a spostamenti vari, a volte permanenti, significativi.

Io non nascondo che da ingenuo migrante interno, pensavo che di solito a cambiare paese fossero solo i meridionali e alcuni tipi di stranieri, quelli definiti extracomunitari un po’ come una patente di pezzenteria, anche se spesso pure loro fanno parte della cosiddetta Europa unita. Quindi, riflettevo attentamente sulle peculiarità del meridionale medio in settentrione: di norma un cittadino più plateale, un po’ piagnone e molto convinto di esser vittima di un complotto interplanetario, comunque sempre immerso in quell’arte della recriminazione nazionale di cui è docente e direttore di dipartimento.
Il suo luogo d’origine è il migliore dei mondi possibili per via della benevolenza del signore, tutto è di estremo valore: il resto – l’altrove – è troppo freddo, troppo umido, troppo lavoro, troppi immigrati, manca la pizza o il limoncello fatto in casa, manca il babà e la mozzarella casertana, gli manca il mare anche se è dell’Appennino.

Lo straniero immigrato invece è più coerente, ha ancora voglia di chiamare i figli coi nomi di battesimo del proprio paese d’origine, piagnucola e parlotta meno, è più orgoglioso delle sue radici, immagino risenta dell’arrivo più recente, meno corrotto. In questi ormai lunghi anni da campano tra emiliani e poi veneti, mi sono sempre chiesto cosa si provi ad essere se stessi in mezzo agli altri in determinate e più dure circostanze:

un nero in mezzo a settecento milioni di europei; un bianco tra un miliardo di cinesi o indiani o al centro di un villaggio qualsiasi dell’Africa sub-sahariana; un cinese circondato da mezzo miliardo di nordamericani. Deve essere difficile rimanere se stessi, distinguere cosa è opportuno conservare pur non rimanendo sempre uguale. Deve essere dura abdicare al proprio orgoglio per la necessità impellente: trovarsi a dire e fare cose che non avremmo mai creduto di riuscire a sopportare.

Di sicuro è più facile usare il proprio istinto di sopravvivenza e frequentare solo i propri connazionali, comprarsi una grandiosa parabola gigante che funga da surrogato e sopperisca a tutto ciò che manca. E così vivere una onesta vita parallela, fatta di verbi coniugati all’infinito, accontentarsi di una quotidianità diversa, di cui portate principali sono la differenza, l’indifferenza, la diffidenza.
Per quanto riguarda i secondi piatti, quelli saranno serviti caldi, però riposeranno nella reciproca incomprensione, nel pregiudizio. Il resto sarà condito di ricordi che rimpiangi, di solitudine che ormai essa stessa solidale finisce per farci compagnia, di nostalgia che abiura alla sua essenza e muta in una più accettabile abitudine. Ci vuole tanta forza per non chiudersi in se stessi o anche solo per conservare il proprio accento, per realizzare che una terra ricca non è moralmente superiore alle altre, non certo più felice e che gli individui che la abitano sono semplici esseri umani come noi.

Tornando al tema principale, Fernando fino alla prima elementare mi scrive che è cresciuto a Camigliano di Caserta, poi è venuto a Garda; Ilaria scende da Canale di Pergine Valsugana, le scuole le ha frequentate a Castelnuovo, ora è a Pastrengo e dice di trovarsi bene. Rosaria da sei anni è a Lugagnano, però è cresciuta a Borgo Trento di Verona; Nicoletta è nata a Padova ma fin dai primi passi ha vissuto ad Affi. Graziella è nata da qualche parte giù in Moldavia, si è spostata a Castelnuovo e ora è a Dolcè: quando le ho detto che in realtà la Moldavia non era così in basso mi è sovvenuto che qualche volta “giù” vuol dire solo dove si è più poveri! Infine Rachele è venuta al mondo a Bolzano perché i suoi volevano che nascesse in Italia, vissuta in Baviera fino a otto anni e ora è a Bardolino dalla terza elementare.
Mancano Clelio e Elvis albanesi, Mounim che con i suoi occhi intelligenti a novembre si è trasferito a Treviso, Osama che ha ancora nel cuore la sua Marrakech. Chiederò di loro la prossima volta, lo faccio perché a sentirli raccontare in qualche misura sembra che parlino di me: anche se dubito fortemente che in sette mesi sarei riuscito ad apprendere l’italiano bene come Osama, la terza lingua dopo l’arabo e il francese.

Ancora una notizia in sala professori: un ghepardo è fuggito dallo zoo safari parco natura viva di Pastrengo, le mie colleghe abitano in zona e sono preoccupate. Non so perché ma tifo per quell’animale solo, un po’ cinese, un po’ africano in mezzo ad altre belve, a questa manica di condannati a cui mi iscrivo. Beninteso non escludo che pure questa non sarà altro che una fissa da demente, di stare sempre appresso a chi le prende, semplicemente perché mi alleggerisce la coscienza.

Meglio riparlare dei ragazzi, del settentrione. Anche stavolta mi hanno insegnato qualcosa, oggi mi hanno ricordato le Metamorfosi, l’eterno ritorno, infine trasmesso che esistono tanti ordini di migrazione:

gli uomini e gli uccelli, i genitori che si separano lasciando il vuoto insieme all’eco delle stanze che si svuotano; i morti e quelli che dimenticano; i ricordi o la riconoscenza; sparisce la passione e non sempre si comprende quando è andato via l’amore; Icaro che non ascolta il padre lasciandogli in eterno la disperazione; gli elenchi telefonici sostituiti da fili non visibili; migra il lavoro e diventa sfruttamento; la terra che si sgretola nelle frane anche lei orfana di radici; il giorno maledetto anche se tremendamente lento rispetto a quello felice; partono i fratelli, le lettere con i francobolli, migra quello che avremmo voluto fare insieme a ciò che dovevamo dire e non sempre finite le stagioni si assiste al lieto fine, più spesso è solo quotidiano assistere al non ritorno, a chi è rimasto lì, in mezzo al guado, chiedendosi con incertezza come sia giusto proseguire.

Sandro Supplentuccio Abruzzese
sandroabruzzese78@gmail.com